venerdì 13 aprile 2018

Il viaggio.

Quando si risvegliò, l’alba stava resuscitando un mondo talmente precario che Zenone dovette farsi forza per poter alzarsi e riordinare le cose da prende- re. Notò subito il vecchio camion, un Man mostruosamente grosso e talmente mal messo che Zenone dovette arrendersi dinanzi al mistero della vita meccanica. Il vecchio camion ci mise cinquantasette giorni a coprire i seicento chilometri da Kisangani a Ngao. Discusse un’ora prima di decidere di accettare l’offerta di trasporto che gli fece quello che tutti chiamavano il Comandante, ossia il capo autista del camion, che interpretando i segni e le indicazioni del fato come fanno i vecchi stregoni conduceva l’antico fagotto di lamiere incerte attraverso il susseguirsi delle savane e delle foreste.
Durante quel viaggio da generale perso nel labirinto della vecchiaia, stabilì un’amicizia e una solidarietà da caserma con tutti i passeggeri tant’è che a Zenone sembrava un ritorno ai giorni della guerra di liberazione. Un giorno si accorse che gli erano sparite due galline dalle gabbie che erano state attaccate ai lati della bestia asfittica che la ragione continuava a chiamare camion. Immediatamente alcuni passeggeri inventarono e benedirono una sorta di commissariato di viaggio che riuscì in brevissimo tempo, con interrogatori camuffati da storie improbabili e minacce proferite senza tanti giri di parole, a recuperare le due galline. Vive e vegete. Nessuno seppe mai come fu possibile ma qualcuno del camion disse che in Kongo nulla si ruba: è solo spostato da una proprietà all’altra. Durante il tragitto sperimentò una nuova vita da bestia della foresta. Rimase sette giorni senza lavarsi e quando perfino il suo stesso odore gli si presentò come un tanfo da morte vecchia, arrivarono al cospetto di un fiume nel quale si gettò nudo senza curarsi degli sguardi delle donne e delle fauci dei coccodrilli. Solo qualche ora dopo, sbarbato e profumato di sapone, gli comunicarono che un coccodrillo di almeno cinque metri stava a non più di dieci metri da lui. Zenone non si scompose e lesse la sonnolenza della bestia e la sua indolenza come il chiaro segno del destino che è riservato ai combattenti che non riescono mai a morire, nemmeno quando s’intestardiscono per farlo.
Si fermarono poi per diciassette giorni per un guasto al motore. Quando l’animale di ferro esalò l’ultimo respiro in uno sbuffo di vapore e acre odore di nafta, Zenone pur non comprendendo nulla di meccanica ebbe la certezza che da un mezzo di locomozione seppur zoppicante e ma- le in giande, fosse passato senza accorgersene, a cavalcare una carcassa senza alcun futuro. Si fermarono in mezzo alla pista, non lontano da un fiume. Zenone vedeva solo alberi e alberi dietro altri alberi e seppe solo allora che si trovava nel cuore di una foresta senza confini certi i cui margini collimavano con la fantasia geografica più sfrenata. In poche ore, i due autisti del camion smontarono il motore depositandone le budella di ferro su un lenzuolo steso per terra. Si ritrovarono in mano un pezzo d’acciaio che definirono importante e che Zenone stimò esserlo per forza, visto che aveva fatto fermare il mostro. Nel frattempo i passeggeri avevano costruito capanne e rifugi e Zeno- ne fu invitato a prendere possesso della propria. Era costruita con foglie di palma intrecciate e sorretta con dei pali. Aveva perfino una porta costruita anch’essa di palme intrecciate. All’interno c’era un letto tradizionale sul quale era stato buttato l’unico materasso del camion e accanto al letto uno sgabello che serviva da comodino. Zenone non capì subito quella gentilezza d’altri tempi, ma ebbe coscienza immediatamente che al solo bianco che osasse viaggiare con il camion doveva essere riservato un trattamento speciale. Poi comprese che il trattamento serviva per oliare il ferruginoso meccanismo del prestito di denaro necessario per inviare qualcuno a cercare il pezzo di ri- cambio.
Zenone si accordò con il capo autista che avrebbe anticipato il prezzo del biglietto di ritorno da Ngao e che dunque la compagnia gli doveva un biglietto. Dal camion emerse una bicicletta da guerra patriottica e dai passegge- ri un ragazzo piccolo e magro. Fu investito di una missio- ne che lo avrebbe legato per sempre alla vita degli altri passeggeri. Pedalare fino a Roisin per procurarsi il pezzo di ricambio e poi ritornare. Gli diedero cinquanta dollari per il pezzo di ricambio e venti dollari per il viaggio, compreso il ritorno. Lo misero sulla bici, Zenone gli legò sul portapacchi una delle sue gabbie di galline, qualcuno gli consegnò una lettera le cui speranze di essere consegnata erano affidate a un fato da riffa asiatica e qualche d’un   altro gli diede cinque scatole di carne di manzo e due di sardine. Lo salutarono e lo mandarono al suo destino. Roisin distava duecento ottanta chilometri, disponeva di solo cento metri di strada asfaltata, c’erano dei commercianti greci e portoghesi ed era affogato in una dimenticanza da Macondo africano, dove la convinzione di recuperare il pistone tramortito da una vecchiaia meccanica senza senso, era un affronto anche alla fede. Calcolarono che ci volessero almeno quindici giorni per andare e tornare. Nessuno si scoraggiò e si misero a organizzare le giornate. Qualcuno andava a caccia e la carne non mancò quasi mai. Faraone e scimmie ma pure gazzelle e piccoli coccodrilli. Zenone re- stava sul letto a leggere i libri che si era portato e iniziava ad apprendere i primi rudimenti della lingua lingala. Qual- che ragazza si presentò nella sua capanna esibendo seni da venere nere e corpi da statue d’ebano ma Zenone le rimandò gentilmente indietro spiegando che non era ancora pronto per affrontare quella prova e che amava un’altra donna. Le ragazze ridevano e non capivano quella fedeltà da santo matto e andavano a offrirsi a qualche altro passeggero. Dopo esattamente quindici giorni, come fosse il compimento di una premonizione da Nostradamus, il ragazzo riemerse dalla foresta con la vecchia bicicletta e consegnò il pezzo di ricambio, ancora imballato nella carta oleata, ai due autisti. Fu festeggiato da tutti ed ebbe in premio due notti da passare con le ragazze che lo accolsero come il messia della foresta. Il motore fu rimontato con ossequi da messa grande e il camion ripartì di nuovo esalando un ronfo da bestia primordiale.