Seduto sulla balza,
avvolto dal vento che preannunciava il temporale che si dimenava già in
lontananza, guardò la grande palma che indicava il nord, là dove c'era il senso
della sua memoria.
Ebbe un sussulto, e tra i tanti ricordi che crollarono come un vecchio
muro scosso dal terremoto della memoria, rivide la sua vecchia madre che, in
preda al delirio di una vecchiaia schiacciata dall’indegnità della malattia,
scomponeva e ricomponeva le lettere e le fotografie che custodiva in una
vecchia scatola di legno.
Ce n’era una che marchiava
come una lama rovente l’anima di Zenone. Sua mamma, giovane e sorridente posava
con lui piccolissimo dinanzi alla torre dell’orologio. Sembrava una bambina. Il
sorriso smorzava la donna che era, gli occhi da madre brillavano e lo sguardo
vedeva il futuro.
La rivide nella sua
vecchiaia da bambina usurpata dal tempo cagone e vigliacco che ogni giorno le strappava
lembi di ragione e dignità usurpando della sua bellezza.
Senti la morsa dello sconforto
e della sconfitta, perché a due cose gli uomini non possono opporsi: al tempo e all’amore.
Si alzò e andò verso la
palma: la abbracciò. E senti il profumo di gelsomino che invadeva la cucina
mentre guardava sua madre sorridere alla vita. E capì che il tempo aveva vinto.
Si arrese e pianse come solo i vecchi sanno fare quando sentono i passi della
morte avvicinarsi.
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