Regine era certamente la donna più bella
di Ngao. Nessuno ne dubitò mai, nemmeno il giovane missionario che in
bicicletta partendo da Ndongo veniva due volte all’anno a dire messa. Si chiamava Herman, era un belga di Marcinelle;
era nato con il colore grigio della città stampato in faccia e con la tristezza
da eterno girovago dell’anima.
Regine, che vagabondava da un cuore
all'altro lasciando piaghe di passioni inguaribili, era sempre in prima fila e
guardava il povero pretino come un’occasione per affrancarsi da una vita
scalcagnata che lei, bellissima regina d’Africa, l’aveva confinata in quel merdaio
da fine del mondo. Sapeva che i preti
non potevano sposarsi ma sapeva che potevano avere figli: che lei avrebbe
accudito e educato mentre lui diceva messe, battezzava neonati, sotterrava
vecchi, confessava le vecchie e soprattutto pregava Dio.
Si disse che non era peccato perché non
c’è nulla di male a offrire la propria bellezza ad una giusta causa e la
bellezza è un dono di Dio agli uomini: e
lei la distribuiva.
Lui la vide mentre si inginocchiava devota
rivolgendo preghiere accorate alla madonna.
Sollevava la lunga gonna che si tirava come una corda d’arco nel
tentativo di seguire le linee perfette delle natiche e alzando lo sguardo e le
braccia al cielo per invocare l’intercessione della protettrice delle donne
perse, mostrava un seno contundente che sembrava un sogno da notte d’agosto.
Ma Regine, seguendo un disegno da
pitonessa in amore, non andava in chiesa per offrire preghiere ma per lanciare al
povero Herman sguardi tanto penetranti che ben presto il missionario fu
precipitato nel pozzo del desiderio più indegno senza avere nessuno rimedio
pronto all’uso se non quello di commettere un atto impuro che prevedeva solo due
varianti: da solo o con Regine. Non sapeva che fare. L’incertezza lo rendeva
insonne. Fin quando Regine decise di confessarsi.
Il confessionale fu subito invaso dal
profumo di lei e il povero prete lo sentì penetrare fin dentro i muscoli che in
un attimo le parvero più forti e resistenti. Poi vide che Regine appoggiava la
sua bocca perfetta alla grata del confessionale sospirando e gemendo. Allungò
una mano e sentì le gambe tremolanti del povero uomo. Risalì e sentì che Dio si
manifestava anche in modi diversi da quelli che gli avevano raccontato da piccola.
Si confessò mentre la sua mano rendeva
lode al signore e poi quando Herman mugugnò qualcosa che non lei non comprese
ma che aveva il senso del perdono e della penitenza assieme, lo trascinò in sacrestia
dove fecero un amore garibaldino dove tutto aveva il senso della provvisorietà
africana, anche i baci dati e ricevuti.
Quando tornarono in sé, c’era un pappagallo
che li osservava e un severo Santo Ignazio da Loyola che li guardava torvo
pronto per emettere una sentenza di morte. Regine si alzò di scatto e mostrando
il corpo destinato a scardinare le passioni più spudorate, girò il quadro del
santo e cacciò via il pappagallo.
<<I santi non sanno niente dell’amore.
Perché lo hanno predicato e mai fatto. Se non lo fai non lo sai.>>
E Herman si trovò d'accordo. Su tutto e per sempre.
E Herman si trovò d'accordo. Su tutto e per sempre.
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